Mandara

Bisanzio

Il primo frutto del progetto Mandara. Un progetto che affonda le sue radici in terra di Calabria, e che riunisce un gruppo di musicisti caratterizzati dalla passione per le tradizioni musicali della loro terra, dell’Oriente e dell’Africa. E, del resto, una regione come la Calabria, luogo d’incontro (e di scontro) di tante culture – greca, romana, bizantina, araba, normanna, persino albanese – non poteva che incentivare questa passione. Ma Mandara non suona folk. In questo lavoro si fondono varie influenze che includono sì la musica etnica, ma comprendono anche psichedelia, rock elettronico, pop e, perché no, anche un po’ di progressive.mandara
Ci viene semplice e spontaneo citare gruppi come i tedeschi Can ed Embryo, gli inglesi Echo and The Bunnyman, gli americani Tuxedomoon.
Al nucleo costituito dal batterista e percussionista Gennaro de Rosa, principale animatore del progetto, dal tastierista Alessandro Castriota Skanderbeg, dal bassista Edoardo Carlino e dal chitarrista Nino Rizzuti, bisogna aggiungere un buon numero di collaboratori.
Il disco ci è proprio piaciuto: è opera raffinata e meditata nella quale l’eclettismo di partenza assume una personalità ben precisa e si fa stile. Le sei tracce dell’album, tutte firmate dalla coppia Castriota/de Rosa, manifestano una assai lodevole varietà e originalità di argomenti e di ispirazione. Ci si accorge subito di avere a che fare con gente che osa e, quel che più conta, che è capace di osare: lo dimostra anche solo la grande varietà di strumenti utilizzati, fra cui spiccano senza dubbio le innumerevoli percussioni, autentico collante che informa di sé tutta la musica del gruppo. La ritmica al potere, dunque: ma c’è dell’altro.
Si parte dalla splendida title track che, tutto sommato, si può tranquillamente definire un riuscitissimo esempio di prog mediterraneo, pressoché interamente strumentale.
Una poliedrica musica aperta a 360°, impossibile da classificare rigidamente, con il pregio di riuscire a sorprendere realmente l’ascoltatore, dall’inizio alla fine.
U’Surdat”, cioè “Il soldato”, tratta, in dialetto, storia vera accaduta in Sila. È un rap che non è un rap; un rap sublimato e fuori dagli schemi: un po’ come quello presente in “Ovo” di Peter Gabriel.
Segue “U’Scalun e’ri Cummar”, letteralmente “Il gradino delle comari”, una critica della mania meridionale di apparire: l’immagine scelta come esempio di questo comportamento è quella delle comari che fanno crocchio nei quartieri di paese. Un pezzo lungo e ipnotico, in forma di fascinosa e uniforme nenia dalle marcate sonorità mediorientali: a ben ascoltare però, si può suddividere in tre parti: la prima più suadente, la seconda più grintosa e plasticamente scandida dal basso, il finale pacato. A impeccabile conclusione di questo piccolo viaggio, che potremmo definire multiculturale, siamo riportati al punto di partenza. “Mandarava” è il pendant di “Bisanzio”: le colonne d’Ercole del disco. Anche la qualità è la medesima. Ma conforme al titolo, di origine buddista come il nome del gruppo, l’ispirazione proviene dall’estremo oriente: perfetta architettura, un ritmo contagioso e un finale magistrale. Da notare – e la considerazione valga anche per tutto quanto precede – i tecnicismi di de Rosa. Giustamente, a ribadire una delle caratteristiche più forti del disco, le ultime battute sono affidate alle sole percussioni: dopo la breve ma chiara apparizione del sitar.

Titoli:

* Bisanzio 04’19
* U’Surdat 03’49
* Sybaris 05’54
* KR-MI 04’48
* U’Scalun e ri cummar 07’35
* Mandarava 04’29

E-mail: gen.der@tiscali.it

{jcomments on}

Categories: